Racconto di Elisabeth Brichta

(Prima pubblicazione)

 

 

“Ma che ti credi?” mi dice con la voce roca davanti alla tazza di tè sbeccata.

Continua dopo un tiro di sigaretta: “Non è mica andata così come la raccontate voi.”

Non sapevo cosa pensare davanti a questa versione oscena di Brigitte Bardot malamente invecchiata. Mi fissa mentre le labbra carnose succhiano il filtro. Sembra un cammello e penso di aver scelto la persona sbagliata.

Il bando era chiaro, il vincitore del concorso letterario avrebbe potuto incontrare chiunque volesse, reale o fantastico che fosse.

Mi ero impegnato come non mai, avevo chiesto alla mia vicina, insegnante di italiano in pensione di revisionare il testo. L’avevo fatto leggere ad amici e parenti: ci tenevo davvero a vincere. Non pensavo al premio, per me era importante essere il primo, essere letto, far provare emozioni.

Il premio era l’ultimo dei miei pensieri mentre inviavo il PDF. Ero riuscito a stare nei sedicimila caratteri previsti, avevo corretto tutto. Rimanevano dubbi sulle virgole, però diciamo la verità, se la storia ti prende, le virgole te le scordi.

All’improvviso mi scappa, è un bisogno inderogabile.

“Mi scusi, posso usare il bagno?”

“Certo. Esci in giardino, è la casetta dietro al pozzo.”

Uscire? Casetta? Ma dove sono capitato.

Con la vescica che urla, esco. Costeggio le aiuole incolte. Fra le erbacce stentano alcune margherite. Per aprire la porta della baracca devo evitare le spine di un cespuglio pulcioso di rose. Dentro vengo accolto da un nugolo di mosconi. C’è un tale fetore che corro oltre lo steccato e mi libero contro un albero.

Appena entro la vecchia ride sguaiata: “Scommetto che non ti sei lavato le mani, sporcaccione!”

Poteri morire di vergogna.

“Non ce li abbiamo i rubinetti noialtri, però se vuoi puoi tornare fuori al pozzo. Forse nel secchio c’é ancora acqua, altrimenti lo cali e lo riempi. Sai come si fa, vero?”

“Ma é proprio quel pozzo li?”

“Si, esattamente.” Dice sghignazzando.

“Fa lo stesso, mi sono pulito con le foglie.”

Non doveva andare così, mi ero tanto impegnato nella scelta del personaggio da incontrare. Ero stato tentato di incontrare personalità del calibro di Dante o Cristoforo Colombo. Non mi sarebbe nemmeno dispiaciuto scambiare quattro parole con Jack Torrance, per quanto mi preoccupasse la sua ascia.

Il problema era, che avevo letto troppi libri, troppe storie e non sapevo decidermi, ero più confuso che mai.

“Su, prendi un dolcetto. Sono quelli buoni, fatti con la ricetta di mia mamma.”

Il biscotto farinoso cede sotto la pressione delle dita, me lo infilo in bocca con cautela e rimango sorpreso dal sapore. Sa di tutti i biscotti più buoni che abbia mai mangiato. L’aroma di nocciole e cacao sostenuto dalla cannella scatena una sensazione di benessere straordinaria.

“Finalmente ti sei rilassato. Prendine un altro.”

Con uno sbuffo di polvere ricado nella poltrona a mio agio.

“Allora signora, com’è andata davvero la storia?”

“Dimmi prima, perché hai scelto me.”

La scelta era un po’ colpa della mia vicina che mi aveva consigliato di pensare alla figura che più mi aveva emozionato.

Mi erano venute in mente tutte le favole che mia madre mi leggeva prima di addormentarmi. Una in particolare mi faceva sentire bene, aveva un eroe alla mia portata. Quello che faceva lui, avrei potuto farlo anch’io da grande e salvarla. Mi ero proprio innamorato e così passavo ore a fantasticare su come lei sarebbe stata felice e grata, e di come mi avrebbe ammirato. Forse si sarebbe innamorata di me a sua volta e noi due avremmo potuto vivere felici e contenti per sempre e aggiungere un altro finale a quella storia.

“Davvero? Innamorato di me? Chissà che delusione vedermi così.”

Non aveva tutti i torti.

“Allora com’é andata?” Le chiedo dopo l’ennesimo sorso di te.

“Ti racconto dopo, che adesso cala il sole e dobbiamo prepararci. In fondo ti devo restituire intatto domattina. Dammi una mano a fissare le grate.”

Una per una blocchiamo tutte le finestre del pianterreno e del primo piano con grate di ferro. Davanti alla porta viene fissata una sbarra. Dall’armadio prende due fucili. Me ne passa uno.

“Sai usarlo?”

“No, a dire il vero, no”

“Allora guarda, qui si carica, qui si leva la sicura, questo é il grilletto. Per la mira non possiamo fare molto. Basta che punti contro qualsiasi cosa che si muova!”

È impazzita, la vecchia è sicuramente fuori di testa.

“Ma scusi…”

“Non ti preoccupare, adesso mangiamo che la notte é lunga. Mentre preparo il resto, tu apparecchia.”

Ha preparato una specie di minestra con pezzi di carne. Prendo due ciotole, due cucchiai unti. Non vedo i tovaglioli, ma credo non abbia chissà che importanza.

Fuori il sole è tramontato, ma riconosco ancora le forme degli alberi. Il cielo é stellato e mi é parso di vedere una figura muoversi in giardino.

Alzo la grata per vedere meglio.

“Ma sei cretino! Credi che metta le grate per divertirmi!” Naso contro naso sento il suo alito di nicotina, la mano che tiene il fucile trema di rabbia. “Siediti e mangia!”

Adesso ho paura. Paura di lei con l’arma in grembo, paura dei rumori. In lontananza i lupi ululano alla luna e questo non contribuisce a rasserenarmi.

“Anch’io ero innamorata se lo vuoi sapere.”

Sento un lieve raspare alla porta.

“Cos’è?” Chiedo preoccupato.

“Tranquillo, mi sa che stasera ci andranno leggeri, hanno visto che ho un ospite.”

L’ululato dei lupi si avvicina e sento dei tonfi contro le pareti che all’improvviso mi sembrano tanto sottili.

“Chi ci andrà leggero?” Non riesco a controllare il tremito della voce.

“Mettiti sul divano, che è il posto più sicuro, imbraccia bene il fucile e mentre aspettiamo che passi, ti racconto com’e andata davvero.”

Fuori é scoppiato l’inferno. Sento ringhiare, ululare, guaire, abbaiare. La casa trema sotto i colpi. Poi silenzio e di nuovo botte, come se qualcuno cercasse di farsi strada a spallate. Ormai ero più che pentito della mia scelta, ma non potevo far altro che sopravvivere fino a domani.

“Allora, ti dicevo, anch’io ero innamorata, ma di quello sbagliato. Lui, come tutti quelli del suo clan, era sotto incantesimo e cambiava forma di notte. Ma a me non importava. Lui era bellissimo e gentile in tutte le sue forme. Eravamo molto innamorati.”

“Mi scusi, ma la storia che so io, non é una storia d’amore.”

“Appunto, hanno dovuto seppellire la nostra storia con una montagna di bugie, tanto era scandalosa e contro natura. Comunque sia, tutti i giorni facevo la stessa strada per vederlo. Lui mi aspettava a un bivio nel bosco e poi mi accompagnava per un pezzo. Lo sapevamo entrambi che la nostra storia era priva di futuro. La mia famiglia non lo avrebbe mai accettato e il suo branco mi avrebbe sbranato.”

Sentiamo dei rumori di sopra. Un lupo nero, enorme si scaglia su di noi dagli ultimi gradini. Vedo atterrito come la vecchia punta il fucile, il cranio dell’animale si disintegra e il corpo precipita davanti al camino.

“Non hai barricato la finestrella del corridoio, vero? Deficiente!”

La vedo salire di corsa le scale, si sente armeggiare e menare gran colpi.

“Imbrattacarte, ti devi ricordare dei dettagli, sono importanti! La prossima volta, se mai ci sarà, che ti dico di mettere le grate alle finestre, intendo tutte le finestre! Hai capito! Qui si muore davvero!”

Prende un coltellaccio e si mette a scuoiare l’animale.

Si placa e riprende: “Dove eravamo arrivati? Ah sì. Dunque, ci vedevamo tutti i giorni. Mia mamma però si era insospettita, perché stavo fuori troppo. Poi ci si è messa anche mia nonna.”

Concentrata mette tutti i pezzi di carne su un vassoio.

“Quindi?” le chiedo. Fuori il tumulto si placa, pare che l’attacco sia passato.

“Quindi mia nonna si era messa d’accordo col cacciatore che appena ci ha visto spuntare ai margini del bosco, gli ha sparato uccidendolo e spezzandomi il cuore. Il cadavere non è mai stato nel pozzo, se lo è ripreso il branco, che adesso tutte le notti di luna piena cerca vendetta.”

 

“Allora tu, Cappuccetto Rosso, non volevi essere salvata, tu amavi il lupo.”