Racconto di Marina Cerni

(Quarta pubblicazione – 2 aprile 2021)

 

Introduzione

Questo breve racconto che narra gli ultimi pensieri di uno scalatore ed esploratore del bellunese, è liberamente ispirato alla vita di Vittorino Cazzetta e a lui è dedicato.

Pochi anni fa in un viaggio in montagna ho avuto il piacere di visitare il museo “Vittorino Cazzetta” di Selva di Cadore, un piccolo gioiello che raccoglie i reperti dell’uomo di Mondeval.  Questo museo è nato grazie alla paziente passione per la sua terra di un arrampicatore, un conoscitore solitario delle Dolomiti, scomparso nel 1996 e ritrovato solo un anno dopo nel luogo in cui undici anni prima si era infortunato gravemente. Si devono a lui i preziosi ritrovamenti archeologici di un cacciatore del mesolitico nel sito di Mondeval e delle orme di dinosauri su una roccia del Pelmetto.

Conoscere la sua passione, la sua storia e la sua drammatica fine è stato emozionante e travolgente.

Spero di trasmettere analoghe sensazioni a tutti quelli come me innamorati delle dolomiti e della loro straordinaria natura.

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Piz del Corvo. 10 agosto 1996

Sono di nuovo qui, ma questa volta non ne uscirò. Ho entrambe le gambe fratturate e probabilmente anche la colonna vertebrale, il dolore si è esteso in ogni punto del mio corpo, la vista si sta appannando e il fiato è sempre più corto.

Sembra uno scherzo del destino questo debito di sangue, eppure sono qui, a Piz del Corvo, lo sono per devozione, per una promessa fatta tanti anni fa, dopo due notti di coma. Quella vita ridonata mi ha permesso di fiutare ulteriori tesori e tirarli fuori da questa mia terra, il mio piccone ha scavato, ha inciso la dolomia e ha dato un senso enorme alla mia volontaria solitudine.

Nel buio della grotta riesco a toccare con le dita la madonnina di bronzo che dovevo appendere alla roccia, meravigliosa di fattura, commissionata pochi mesi fa a Cortina e fusa nel bronzo più puro. La accarezzo sotto la stoffa ruvida del mio zaino e anche ad occhi chiusi la vedo brillare e sorridermi.

Undici anni fa lei mi aveva protetto e io le avevo promesso che la avrei riposta qui, dove ero precipitato e dove ora saldo ciò che invece era segnato.

Non ho rimpianti né desideri irrealizzati nel cuore, ma solo migliaia di parole che affluiscono ad una bocca che non ha più voce. Mi giungono, come un fiume in piena, tutte le parole mai pronunciate; non sono mai stato capace di dare nome alle mie emozioni, non ho mai chiesto deroghe alla mia solitudine, fedele compagna di vita.  Con lei ho camminato a lungo, ho comunicato solo con gli occhi e con le mani, tenendo sempre viva la mia passione, ho visto paesaggi meravigliosi e ho amato senza parlare: la montagna, i boschi che ho attraversato e i reperti che ho raccolto.

Stamattina a Pescul ho lavorato sodo, senza requie fin dall’alba, ho fatto legname e all’ulteriore richiesta da parte di mia madre di continuare il lavoro nei campi, sono salito sulla panda e con il mio zaino, senza proferire parola di rifiuto, sono venuto qua, dopo undici anni dall’inizio della mia seconda vita.

Le dolomiti, le mie montagne tinte di rosa al tramonto, saranno le ultime cose che voglio ricordare, i torrenti guadati, gli utensili scoperti, raccolti, ripuliti e conservati nel fienile.

Ho anche viaggiato in mare, ma nei lunghi due anni di “naja”, sulla tavola piatta e monotona dell’oceano, sognavo solo le guglie disegnate dalle rocce, il volo a planare della poiana sulla testa, il verde intenso della foresta bellunese e mi pareva di sentire il fruscio delle piante, mentre sulla tolda della nave scrutavo l’orizzonte. Nelle narici penetrava aria salmastra ma io aspiravo, con la memoria, il profumo intenso del pino mugo e il sentore muschiato del sottobosco. Affinavo l’occhio per poter intravedere terra, rilievi, ma ero perennemente circondato da una immensa distesa d’ acqua, sorvolata da qualche annoiato albatro in cerca di cibo.

Il solo rimpianto che porto con me è non poter godere ancora degli occhi sgranati e sopresi dei bambini, mentre osservano con stupore i reperti di Mondeval e le rocce segnate dall’impronte dei dinosauri.

Ricordo, ancora con un tuffo al cuore, quell’arrampicata sulla dorsale meridionale del Pelmetto, tra i sassi franati quell’enorme roccia cubica attirò la mia attenzione. Mi avvicinai a questo anomalo sasso, cominciai a scrutarlo con curiosità: delle strane fossette, tra loro vicine con una insolita regolarità, foravano la sua superficie. Per magia si aprirono immediatamente i cassetti della mia memoria visiva, il mio istinto accelerò i battiti del cuore, che pulsava ritmicamente nelle orecchie, una violenta scarica di adrenalina cominciò a scorrere nel mio corpo. Qualcosa di importante doveva pur essere e percepii, con una irrazionale sicurezza, che ero di fronte a qualcosa che avrebbe segnato la mia vita.

Ho 49 anni, ho lavorato instancabilmente, ho viaggiato, ho esplorato in solitaria tutta la mia montagna, a passi corti e lenti ho raggiunto vette, osservando tutto e facendolo mio. Non ho potuto studiare quanto avrei desiderato e quanto la mia curiosità mi avrebbe dettato, ma da autodidatta ho intuito le antiche tracce del passato, ho avuto la fortuna di riconoscerlo e portarlo alla luce per mostrarlo a tutti.

In soli 49 anni ho visto le bellezze di una vita intera, ho studiato la storia ripercorrendola attraverso le sue orme, ho esplorato in ogni anfratto, come un tenero amante, la mia terra.

Nel buio della grotta, con gli occhi ormai serrati, vedo tutto con straordinaria chiarezza e luce.

Sono nella foresta del Cansiglio, tra i monti ammantati da faggi e abeti che circondano l’altipiano, tra i galli cedroni e i cervi che fuggono al passaggio dell’uomo.

Sono sul monte Cavallo e dopo gli ultimi metri, inerpicandomi tra le rocce, da lontano, aguzzando la vista, tra la foschia che si alza con i primi raggi di sole, intravvedo la laguna Veneta con il suo luccichio d’acque.

Sono sulla Gusela, in bilico sull’abisso, sospeso sul vuoto della Schiara, sono sul dito di Dio che indica il cielo libero e accogliente.

Non sento più dolore, sento solo, sulla punta delle dita, il freddo del bronzo mentre accarezzo le fattezze del Tuo viso.  Sono pronto ad esplorare luoghi nuovi e lontani, a passi corti e lenti, come sempre.

 

A Vittorino Cazzetta (1947-1996)