Fiaba e illustrazioni di Paola Marchesin

 

C’era una volta, in una valle nascosta nel bosco, una grotta piccola piccola, minuscola.

Qui abitano gli gnomi di Val Mardion.

In autunno, quando le foglie cominciano a scricchiolare e il vento porta il silenzio dal monte alla pianura, gli gnomi delle valli intorno preparano i loro zaini e, piano piano, scendono lungo il greto del torrente per fermarsi in prossimità di una fenditura della terra coperta da una roccia, a pochi passi (di gnomo) da tre carpini bianchi che si abbracciano con i loro rami spingendoli in alto, fino a toccare il cielo.

Il momento dell’incontro è bellissimo: si stendono le tovaglie colorate e si prepara ogni ben di Dio: torte di castagne, s’cios alle erbette, vino rosso, funghi grigliati, gnocchi, salsicce… davvero una festa!

E tutti attendono con trepidazione:

  1. a) perché ogni anno arriva qualche gnomina sconosciuta e per i giovani è una sorpresa poter riconoscere, sotto al cappellaccio verde, due occhi luminosi che raccontano storie di altre valli
  2. b) perché se manca qualche gnomo anziano, c’è sempre chi racconta l’accidente che gli ha impedito di arrivare all’appuntamento
  3. c) perché, in quel giorno, e in quel punto preciso, chi ha qualcosa da bruciare può farlo liberamente, protetto dalla comprensione e dall’affetto della grande famiglia degli gnomi.

“Bruciare?… Che cosa?” E perché?

Dovete sapere che, anticamente, gli gnomi erano faville di fuoco, di un fuoco eterno che la pioggia un giorno bagnò, spegnendolo quasi del tutto. Per gli gnomi fu un giorno veramente triste, il più triste di tutti. I loro cuori non riuscivano più a battere con vigore. Venne l’inverno e le faville bagnate divennero cristalli di ghiaccio. E il cuore degli gnomi quasi congelò. Una notte di luna piena accadde però che la favilla del cuore dello gnomo più piccolo, spinta dal vento, si posò esausta su un mucchietto di foglie secche; sfrigolò e il fuoco riprese vita, divampò… e i cuori ripresero a battere. Il ghiaccio si sciolse, tornò acqua, l’acqua evaporò e gli gnomi tornarono a saltellare nel bosco sotto i cappellacci verdi.

Da quel giorno, ogni anno, gli gnomi si ritrovano e accendono un grande fuoco per ricordare il momento della loro rinascita e per bruciare ciò che potrebbe rappresentare un pericolo per la loro esistenza. È compito dello gnomo più anziano scegliere il pericolo più pericoloso. E quell’anno il fuoco fu dedicato all’inganno.

Mentre le gnome giovani raccolgono i rami secchi per il braciere e le fate aprono le teche di cristallo per far uscire le faville del fuoco originario, i minuscoli abitanti del bosco, insieme agli spiriti di chi dorme sotto la superficie della terra, soffiano soffiano soffiano. Quando le fiamme arrivano quasi a toccare i rami dei tre alti carpini, gli gnomi cominciano a narrare. Alcuni racconti sono lunghissimi, sembrano durare più di una vita, altri sono brevi: una parola, un singhiozzo e tutto finisce.

Gli gnomi che stanno per passare il cappellaccio a cono ai piccoli per prendere quello con l’angolo piegato a sinistra dei grandi, ascoltano in silenzio.

“L’inganno – disse la gnoma della valle dell’Ingenuità – non lo vedi, non lo senti, ti lega le mani, ti fa inciampare e rischi di cadere se non brilla in cielo la luna piena”.

“È vero – continuò lo gnomo della valle della Fiducia – è bene stare attenti e sapere che non tutti i sentieri portano a casa”.

“Ma – chiedeva il piccoletto – perché raccontare fandonie?”

“Vedi – rispose lo gnomo della valle della Pazienza – non sempre chi incontri lungo il sentiero ha percorso tutte le strade che portano a casa. A volte ne conosce una sola, ha fatto sempre quella, e non può sapere se hai nello zaino pane e vino a sufficienza; così, senza saperlo, ti suggerisce la strada più impervia e tu potresti anche non farcela a rincasare”.

“E come si può fare?”, chiesero gli gnomi della valle Senza Risposta.

“Già! Come si può fare?”, ripeterono quelli della valle della Prudenza.

Ecco che improvvisamente si levò un gran vento, le nubi si raccolsero sulla sommità del monte; sembrava che una gran pioggia potesse spegnere il fuoco. Ancora una volta.

Allora gnomi, fate, folletti e spiriti del bosco lanciarono sul fuoco tutto ciò che fa pensare all’inganno: mezze parole, sguardi strani, silenzi, scarpe, inquietudini, notti insonni, salsicce rubate, cappellacci storti, mappe ingannatrici, segreti, false promesse, dimenticanze, illusioni, incertezze…

E fu così che, anche in quel tiepido giorno d’autunno, il calore salì dal grande falò e spinse lontano le nubi che, con il naso arricciato per il fumo, ritornarono dietro al monte di val Mardion.

Poi arrivò l’alba. La cenere riposava tiepida ai piedi dei tre carpini bianchi.

Mentre tutti ancora dormono, la gnoma madre ne raccoglie una manciata sul palmo e la cosparge all’entrata della piccola caverna. Riunisce i pochi rami salvati dal fuoco e costruisce un piccolo recinto attorno alla cenere. Fuoco e cenere per proteggere il cuore degli gnomi.

Alle prime luci del giorno, silenziosi, uno dopo l’altro, gli gnomi si recano alla caverna. Piccole dita grassocce aprono il taschino della logora giacca per prendere minuscole ampolle trasparenti e riempirle di cenere. Gnomo dopo gnomo. Ampolla dopo ampolla.

Al tramonto, luci iridescenti all’interno delle ampolle trasformate in lanterne indicano al cuore degli gnomi la strada da percorrere.

Ed è così che, anno dopo anno, dopo aver ben mangiato ed essersi riforniti di faville,   sazi sicuri e felici gli gnomi di tutte le valli riprendono il cammino.

Baci, abbracci: il bosco è tutto un risuonare di smack e di pacche sulle spalle.

“Arrivederci!”

“Al prossimo anno!”

“Fate come i ricci… ”, cantano i più piccoli, salutando con i loro verdi cappellacci a punta mentre le farfalle aprono il cammino.