Articolo di Francesca Coppola

 

Si dice che dietro un grande uomo ci sia, sempre, una grande donna. Dunque, si mira a dar per scontato che sia la donna a rendere un uomo migliore; ma il gentil sesso, così come viene definito, vive o sopravvive in un ambiente socioculturale ed economico che tende a metterlo sempre in secondo piano. A parole le donne sono uguali all’uomo, in pratica decisamente no.

Potremmo, a ragione, pensare che tutto abbia avuto inizio con la religione. Se consideriamo il fatto che, attualmente, il più alto grado in una chiesa sia detenuto da un uomo e che solo i sacerdoti possano permettersi “il lusso” di annunciare una messa. In passato, potremmo dire più o meno lo stesso, eccetto pochissimi casi testimoniati e comunque, troppo antichi. Lo stesso dio lo si fa risalire ad una entità maschile. In una società, superficiale come la nostra, è facile poi rapportare lo stesso sistema alla politica. Le percentuali della quota rosa in Parlamento sono note a tutti ma è la stessa definizione di “quota rosa” che lascia perplessi. Nel lavoro non va meglio: a parità di impiego, la retribuzione della donna risulta essere in misura minore. Nonostante i vari appelli e leggi, la donna è ancora ingabbiata in una scala gerarchica che la vuole sottomessa, dipendente e debole.

Oggi come sempre, l’educazione impartita in una famiglia risulta essere fondamentale. Infatti, non bisogna mai dimenticare che, nella maggior parte dei casi è affidata proprio ai genitori la famosa chiave della svolta. Ogni presupposto di uguaglianza dovrebbe trovare terreno fertile proprio durante gli anni formativi dell’infanzia, mediante l’esempio costante e non la sola retorica. Oggi che i numeri crescenti delle vittime di femminicidio segnano record storici, la mente corre il rischio dell’assuefazione. I racconti di cronaca ci condannano a fatti raccapriccianti, snocciolati con dovizia di particolari. Esiste, infatti una cultura dell’orrore; questo respirare morte continua è una condanna a chi farà ancora peggio. E sovvengono alla mente altri nomi e tombe e marmi che rivendicano diritto alla vita. Lo chiamano femminismo, da qualche altra parte, questo sentirsi legittimamente di sé stesse, chiedere uniformità in ogni campo e volere la scelta consapevole.

Il patriarcato impone figure di donne fragili, complessate, limitate, sole, assurte ad eroine nel momento in cui cercano l’indipendenza. Donne che se prendono una decisione poi si condannano a morte. Donne che se osano sottrarsi, vengono additate a vita. Donne che se tentano di alzare la testa un pochino più dell’uomo vengono seppellite. Ed è completamente inutile parlare di misoginia se poi si continua con la mistificazione del corpo femminile. Occorre sensibilizzazione certo, come si diceva, prima di tutto in famiglia e contemporaneamente nei vari contesti, da quelli scolastici a quelli lavorativi. Inoltre si dovrebbe pretendere un sistema giudiziario che condanni ogni tipo di violenza, a prescindere. Leggi ferree e certezza della pena, evitando lungaggini burocratiche e prescrizioni del caso, davvero imbarazzanti.  Cambiare la rotta si può in nome di tutte quelle donne che non sono riuscite a farlo, per quelle martirizzate, massacrate e, peggio ancora, dimenticate. Lasciare ad ognuno la serenità e la libertà di scoprire e, magari, raggiungere la propria identità nel rispetto reciproco. Una fune può essere utilizzata come cappio ma se viene legata a due estremi si può renderla altalena. Non è mai l’oggetto è l’uso che se ne fa.

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https://www.unilibro.it/libro/coppola-francesca/non-togliermi-il-vestito/9788893820608